La tua consapevolezza dell’unione con tutto ciò che esiste si chiama inconscio ecologico
Meno diffuso dei concetti di inconscio personale e collettivo, l’inconscio ecologico allarga a tutto l’ambiente naturale il riferimento per approfondire la conoscenza di te stessa.
Cos’è l’inconscio ecologico
Introdotto dall’Ecopsicologia grazie all’accademico e storico della cultura statunitense Theodore Roszak, che ne ha parlato nel suo libro The voice of the Earth (Phanes Press), il concetto di inconscio ecologico fa riferimento alla consapevolezza, condivisa con tutte le creature viventi, della profonda unità che ti lega al resto del creato che porta, come inevitabile conseguenza, a riconoscerti parte integrante del mondo naturale in diretto collegamento con tutto ciò che esiste.
L’inconscio ecologico, al suo livello più profondo, racchiude l’intera intelligenza ecologica di tutte le specie, la fonte da cui è scaturita la cultura, come riflesso consapevole di un’emergente mente della natura. La sopravvivenza della vita e di tutte le specie non sarebbe stata possibile senza un tale sistema di saggezza autoregolantesi. Era lì per guidare questo sviluppo attraverso tentativi ed errori, selezione ed estinzione, così come era lì nell’istante del big bang per condensare i primi lampi di radiazione in materia solida. È questo l’Es a cui l’ego si deve collegare se vogliamo diventare una specie sana capace di grandi avventure evolutive.
THEODORE ROSZAK – storico della cultura statunitense
Prima dell’introduzione del concetto di inconscio ecologico, la distinzione che veniva fatta era quella tra:
- Inconscio Personale. Il contenuto psichico (pensieri, emozioni, desideri, istinti, modelli comportamentali, rappresentazioni) non cosciente formato da materiale rimosso o dimenticato collegato alla propria esistenza e alla propria storia psicologica.
- Inconscio Collettivo. Il contenuto psichico (credenze, immagini, simboli) non cosciente ereditato sin dalla nascita, e condiviso con tutti gli esseri umani, la cui unità di base è rappresentata dagli Archetipi, delle immagini universali simboliche che servono come chiavi di lettura per la realtà e che ogni individuo può applicare a se stesso e alla propria esistenza.
Aggiungendo all’elenco anche l’inconscio ecologico arrivi a fare un passo in avanti rispetto la visione di te stessa. Infatti, se a livello dell’inconscio personale specchio per conoscerti sono le tue esperienze di vita e a livello dell’inconscio collettivo, allargando il campo d’indagine, sono le figure archetipe, con l’inconscio ecologico specchio per conoscerti diventa a questo punto la Natura nella sua interezza. Cambiano, insomma, i punti di riferimento dell’autoesplorazione e le chiavi di lettura dell’autoconoscenza.
La natura rappresenta, per certi versi, uno specchio di noi stessi. I modi e i tempi che essa ci trasmette sono anche i nostri che, in molti casi, abbiamo messo da parte, a causa dei ritmi frenetici quotidiani e degli ambienti cementificati a cui ci siamo gradualmente abituati. Rientrare in contatto con la natura, sintonizzarsi sulle sue frequenze, entrare in relazione con le forme di vita animali e vegetali che la popolano permette di diventare più consapevoli delle nostre parti più recondite, di andare alle radici della nostra essenza vitale per un migliore rapporto con se stessi, gli altri e l’ambiente.
ANNA FATA - psicologa italiana
“Immaginate che la vostra mente sia in parte un paesaggio, – scrive la psicologa statunitense Susan Bodnar – e la prossima volta che percorrete un campo aperto o una trafficata strada urbana, agite come se il terreno su cui camminate fosse una parte di voi”. Ecco il senso dell’inconscio ecologico. Tutto ciò che vedi – indipendentemente dal fatto che sia un albero, un’ape, una spiga di grano, una nuvola, un ruscello o una collina – diventa strumento per imparare nuove cose su te stessa e per capire più profondamente la tua natura, sia umana che “divina”.
Da questo punto di vista, quindi, tutto il mondo naturale, in cui risiede il tuo Io più profondo, la tua anima ancestrale secondo la definizione dello psichiatra svizzero Carl Jung, ovvero la parte della psiche umana in armonia con la Natura e la terra in cui vivi, diventa il tuo inconscio a cui guardare per comprendere la radice di ciò che sei veramente. In questo modo, l’Ecopsicologia ti invita a ricordare, come già sapevano i nostri antenati, che c’è molto di più da conoscere su te stessa oltre a quello che viene rivelato dalla tua storia personale.
È comunque corretto sottolineare che già Carl Jung, poco prima di morire, aveva esteso il suo concetto di inconscio collettivo allargandolo a tutto il mondo naturale. In una lettera del 1960 infatti, un anno prima della sua morte, scrive: “L’inconscio collettivo è semplicemente natura e dal momento che la natura contiene ogni cosa, contiene anche l’ignoto… Per quanto lontano possiamo vedere, l’inconscio collettivo è identico alla natura nella misura in cui la natura stessa, inclusa la materia, ci è sconosciuta”. Non a caso Theodore Roszak ha sostenuto che l’inconscio collettivo rappresenta il concetto più importante nella psicologia contemporanea per lo sviluppo di una “psicologia ecologica”.
L’importanza di comprendere l’inconscio ecologico
La formulazione del concetto di inconscio ecologico, naturalmente, ha anche una seconda importante implicazione. Infatti, nel momento in cui riconosci di essere parte integrante della Natura, allora ti rendi conto che è nella Natura stessa, o meglio nella mancanza di rapporto con essa, che devi cercare l’origine del tuo malessere.
La brutta situazione in cui mi trovo forse non riguarda soltanto un umore depresso o uno stato mentale ansioso; forse ha che fare con il grattacielo per uffici, chiusi ermeticamente, nel quale lavoro, con il quartiere dormitorio nel quale abito, o con la superstrada sempre intasata sulla quale vado e torno fra i due luoghi.
JAMES HILLMAN - psicologo e filosofo statunitense
È chiaro che questo non significa che qualsiasi tipo di disagio psicologico vada necessariamente collegato alla rottura del rapporto con il mondo naturale. Infatti, nonostante aumentino i termini per indicare il disagio e i problemi di salute connessi allo stato di degrado dell’ambiente – ecoansietà, ecoparalisi, disturbo da deficit di natura, sindrome psicoterrestre, dolore ecologico, lutto ambientale, solastalgia – gli ecopsicologi restano cauti nell’attribuire specifiche patologie al declino ambientale o nel sostenere che disturbi già conosciuti, come ad esempio la depressione, siano esclusivamente dovuti a cause ambientali.
Piuttosto, quello che propongono è un nuovo approccio fondato sull’idea che, in un’epoca di crisi ecologica quale è la nostra, l’aiuto psicologico richiede che le persone vengano facilitate nell’intercettare, nel comprendere e nell’elaborare anche il contenuto del proprio inconscio ecologico.
Se si guarda alle origini della psicologia clinica, l’attenzione era focalizzata sulle forze intrapsichiche. Successivamente il campo è stato esteso per prendere in considerazione le forze interpersonali quali le relazioni e le interazioni tra le persone. Poi ha fatto un enorme balzo in avanti considerando intere famiglie e sistemi di persone. Dopo è stato ulteriormente ampliato per prendere in considerazione i sistemi sociali e l’importanza delle identità sociali quali la razza, il genere e la classe. L’Ecopsicologia vuole nuovamente ampliare il campo per considerare i sistemi ecologici. Essa vuole prendere in considerazione l’intero pianeta.
PATRICIA H. HASBACH - ecopsicologa statunitense
Sono molti, infatti, i professionisti dell’aiuto psicologico che testimoniano di come spesso le angosce e le preoccupazioni dei propri pazienti/clienti siano rivolte alle difficoltà che il nostro pianeta sta vivendo. Il senso di dolore e di disperazione che molte persone provano in risposta alla progressiva distruzione della Natura si fa sempre più ampio e, a scatenare un forte senso di delusione e di scoraggiamento rispetto alla possibilità di poter cambiare, è soprattutto la consapevolezza che questa distruzione sia principalmente imputabile all’azione dei propri simili.
Un cambiamento, però, è ancora possibile e parte proprio dalla riconquista del nostro legame con tutta la Terra. È la mancanza di questo legame, e la conseguente perdita degli “istinti ecologici” (profondamente radicati proprio come quelli aggressivi e sessuali), sostiene l’Ecopsicologia, a scatenare nell’essere umano una serie di spiacevoli inclinazioni come egocentrismo, insensibilità, alienazione e, continua, se ci si ferma ai fenomeni della dimensione intrapersonale (ciò che accade dentro di te) e di quella interpersonale (ciò che accade tra te e gli altri), la salute ed il benessere delle persone, e di riflesso quelli dell’ambiente, non potranno mai essere pienamente compresi e raggiunti.
D’altro canto, se ci pensi, parlare di un’unità Psiche-Natura implica la necessità di guardare alla nostra dimensione psicologica per trovare la causa e la cura della devastazione ambientale e, di riflesso, di guardare al mondo naturale per trovare la causa e la cura del malessere che si è alimentato dentro di noi. Sostanzialmente, attraverso il contatto con la Natura possiamo riconnetterci al nostro mondo interiore.
Ogni volta che entriamo in contatto con la natura riceviamo una pulizia. Le persone che hanno accumulato sporcizia da un’eccessiva civilizzazione, sentono l’esigenza di una passeggiata nel bosco o di un bagno nel mare. Si sbarazzano delle catene e permettono alla natura di toccarli. Questo può essere fatto dall’interno o dall’esterno. Camminare nei boschi, sdraiarsi sull’erba, fare un bagno nel mare, riguardano l’esterno; accedere all’inconscio, accedere a se stessi attraverso i sogni, è toccare la natura dall’interno e si tratta della stessa cosa.
CARL JUNG - psichiatra svizzero
Parafrasando una famosa citazione del fisico tedesco Albert Einstein, l’accademico australiano David Tacey ci fa riflettere sul fatto che non è possibile risolvere la crisi ecologica che stiamo vivendo con lo stesso approccio mentale che l’ha originata. Pertanto, non riusciremo a riparare ai danni ambientali fino a quando non avremo trasformato la nostra comprensione del rapporto che abbiamo con il mondo. Dobbiamo fare questo riconnettendoci all’anima della Terra, il che implica riconoscere che quest’anima è la stessa che si trova dentro di noi.
Se al mondo naturale viene concessa un’anima, allora dobbiamo estendere la metafora dell’interiorità al mondo stesso. Per contattare l’anima è necessario ancora andare dentro, ma questa interiorità, come sostiene Hillman, non è ristretta al soggetto umano. Noi possiamo, con una coscienza sintonizzata, trovare l’interiorità nel mondo che ci circonda in modo che, quando avanziamo nel mondo, possiamo vedere noi stessi mentre camminiamo attraverso l’anima del mondo.
DAVID TACEY - accademico australiano
NOTA BIBLIOGRAFICA. Per scrivere questo testo ho consultato gli articoli Is there an ecological unconscious? di Daniel B. Smith (www.nytimes.com) e Jungian Eco-Psychology: touching nature through psyche and psyche through nature di John Halstead (http://witchesandpagans.com).
L’analista junghiano James Hillman ha scritto: “L’armonia di un individuo con il proprio sé profondo richiede non solo un viaggio verso l’interno, ma un’armonizzazione con il mondo ambientale”. Ora, anche se il concetto di inconscio ecologico può sembrarti un po’ inconsueto, prova a riflettere sul fatto che esiste un rapporto di reciprocità tra te e l’ambiente naturale tale per cui quando entri in contatto con la Natura stai, di fatto, entrando in contatto con te stessa, e viceversa.
Poi chiediti:
- Come mi risuona il concetto di inconscio ecologico?
- Quando mi trovo a contatto con il mondo naturale, cosa emerge in me a livello di sensazioni fisiche, pensieri, emozioni?
- Mi sembra verosimile che l’allontanamento dai processo naturali sia uno dei fattori scatenanti del nostro malessere?
- Se sì, su di me esattamente che effetti ha avuto questo allontanamento?
- Cosa posso fare nel concreto nel mio quotidiano per riarmonizzarmi a questi processi?